@Il_ragazzo_cinefilo
★ Recensione n.17 ★
UNA TOMBA PER LE LUCCIOLE
"Una tomba per le lucciole" ("火垂るの墓 - Hotaru no haka") di Isao Takahata; Giappone, 1988; colori, 89' (1 h 29 min); animazione/film di guerra; tratto dall'omonimo racconto semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka.
Il film racconta la storia di Seita e Setsuko, due fratellini giapponesi che vivono il dramma del bombardamento di Kobe durante la seconda guerra mondiale.
Giugno 1945. Nel cielo sopra il Giappone i bombardieri B-25 americani, come roboanti angeli della morte, preannunciano l'imminente inferno sulla terra. Una pioggia di bombe incendiarie divora la città di Kobe seminando il terrore fra la popolazione civile. Il quattordicenne Seita assiste impotente alla morte di sua madre fra le atroci sofferenze dovute alle ustioni. Avendo perso anche il padre, ufficiale della Marina che non risponde alle lettere da tempo, Seita trova ospitalità, assieme alla sorellina Setsuko, nella casa di una zia, in un villaggio vicino, e riceve una calda accoglienza. La donna sembra molto disponibile e offre loro un riparo e del cibo. Seita crede quindi di aver trovato un luogo in cui stare, ma quando il cibo inizia a scarseggiare, la zia si dimostra molto dura nei suoi confronti e il ragazzo si sente costretto a lasciare l'abitazione. Dovrà quindi prendersi cura della sua sorellina in un Paese ormai in ginocchio e allo stremo delle forze.
“La sera del 21 settembre 1945 io morii”. Con questa frase si apre “Una tomba per le lucciole”; è una frase che ci fa capire subito che il film che stiamo per vedere non presenta le caratteristiche di un film animato come tutti gli altri dello studio Ghibli, e ci dà un segnale molto chiaro: non ci sarà nessun lieto fine. La frase viene recitata da Seita, il protagonista, il cui fantasma appare pochi minuti dopo l’inizio del film. Poco prima viene inquadrato il suo cadavere dentro ad una stazione ferroviaria, assieme ad altre quattro persone morte assieme a lui. I loro corpi vengono trattati con macabra indifferenza dagli inservienti della stazione che, mentre ispezionano la salma di Seita, trovano una confezione di caramelle alla frutta contenente delle ossa, e la scagliano in prato: l’anima di una persona, a cui Seita era probabilmente molto legato, viene buttata in mezzo all’erba come se fosse spazzatura da una persona che ormai è abituata a vedere cadaveri in giro e a pensare che Seita sia solamente uno dei tanti. Questa indifferenza generata dalla guerra viene sottolineata verso la fine del film, dopo la morte di Setsuko, quando Seita si rivolge a un uomo che gli consiglia metodi per cremare il corpo della sorellina con un sorriso stampato sulla faccia, concludendo la frase con un’inquietante osservazione: “Oggi è una bellissima giornata!”.
Takahata ci vuole raccontare la storia di due vittime della guerra, 2 su 700.000. Questo numero è infatti formato completamente da uomini, donne e bambini di cui non si conoscono le storie, e il regista ha intenzione di farci capire come vivessero e come sono morte tutti quegli individui di cui non ci si ricorda neanche i nomi.
“Una tomba per le lucciole” fornisce un’angosciante ricostruzione cruda e realistica della Seconda guerra mondiale, elemento che ricorda molto il genere cinematografico nato in Italia negli anni ‘40 chiamato “neorealismo”, caratterizzato da film ambientati durante un conflitto. In questa pellicola il regista non vuole rappresentare solamente le bombe, i morti e i feriti, che sono elementi facilmente riconducibili alla guerra, ma anche fornirci delle informazioni dettagliate, rappresentate dai numeri. “Bombe dal peso di 250 kg”, “7.000 yen” ecc. sono elementi che fanno diventare ciò che vediamo e che ascoltiamo quantificabile; come quantificabile diventa concreto e assume una forma quasi tangibile nel nostro immaginario.
All’interno del film si susseguono una serie di immagini che sembrano uscite da un documentario: scene di bombardamenti, di cittadini che fuggono, di uomini e donne che muoiono negli ospedali. Proprio all’interno di quest’ultimo scenario viene presentata la scena, a mio parere, più agghiacciante, disturbante e cruda di tutta la pellicola. Quando giunge all’ospedale di Kobe dopo i bombardamenti assieme alla sorella Setsuko, Seita viene informato riguardo a sua madre, che è rimasta ferita. Dopo aver attraversato diverse stanze dell’ospedale piene di feriti e rifugiati, il protagonista riesce finalmente a vedere sua madre che, tuttavia, è senza speranza: ce lo fa capire una serie di macabre inquadrature sulla donna completamente ustionata e ricoperta di bende e sangue, le mani amputate, il volto sofferente della donna che respira a fatica e che non riesce a dire una parola e neppure ad aprire gli occhi. La vediamo per la penultima volta pochi minuti dopo quando, senza vita, viene portata via dagli infermieri e, per l’ultima volta, nella scena in cui Setsuko scava una tomba per le lucciole, un’azione che fa’ tornare in mente a Seita l’immagine del cadavere di sua madre buttata con indifferenza in una fossa assieme ad altri corpi per essere bruciata. In queste stesse scene è presente un altro elemento chiave del film: la mosca, sempre presente quando un personaggio muore o sta per morire. La si può vedere sul corpo di Seita nella stazione ferroviaria poco prima che esali l’ultimo respiro, su quello della madre, su quello dell’uomo ritrovato sulla spiaggia e su quello in fin di vita di Setsuko: nonostante quest’ultima non sia ancora morta, la mosca ci fa capire che ormai per lei non c’è più nulla da fare e che la sua vita sta per concludersi tragicamente.
Seita può essere considerato un’allegoria del popolo giapponese: quest’ultimo avrebbe potuto arrendersi agli Americani anche prima delle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, tuttavia era un popolo molto orgoglioso, e resistette fino a quando la situazione divenne decisamente ingestibile: centinaia di morti, migliaia di feriti, tutta la flotta giapponese colpita e affondata... capendo ormai di essere giunti alla fine, decisero di arrendersi agli Americani, mettendo da parte l'orgoglio. Proprio come fa Seita: lui è talmente sicuro di farcela da solo che si mette in testa l'idea di prendersi cura della sua sorella minore, nonostante lui sia poco più che un bambino (elemento di cui ci dimentichiamo spesso durante il film, dato il suo carattere forte e responsabile, difficile da mantenere, persino se si è adulti, in tempo di guerra), rifiutandosi di tornare dalla zia, che li ha accuditi per settimane dopo la morte della loro mamma. Solo quando la sorellina muore di malnutrizione capisce che ormai non c'è più nulla da fare, il motivo per cui ha continuato a lottare costantemente per molto tempo ormai se ne è andato, così si arrende e si consegna alla morte, così come i giapponesi si consegnarono agli americani. Takahata ci vuole dare un messaggio ben chiaro: come i giapponesi hanno subito morte e distruzione dopo aver rifiutato di arrendersi agli americani, così Seita ha perso sua sorella dopo aver rifiutato di tornare dalla zia.
Le lucciole sono rappresentazione degli uomini: ogni persona, che sia un ragazzo, una madre con un tumore al cuore o una bambina di 4 anni, viene uccisa senza distinzione con la stessa facilità con cui si uccidono gli insetti. Al momento nel
mondo sono in atto più di 70 conflitti: ancora oggi migliaia di lucciole continuano a morire.
“Una tomba per le lucciole” è un film che bisogna vedere almeno una volta nella vita.