@GENOVESE_TIRCHIO
L'acqua Tofana: il veleno che uccideva dopo 20 giorni. Andate in descrizione
L'acqua tofana è un veleno ampiamente utilizzato nel XVII secolo a Palermo, Perugia, Roma e Napoli. Nel 1640 Giulia Tofana, cortigiana e chimica originaria di Palermo, mise a punto il veleno che da lei prese il nome. Grazie a questa invenzione divenne ricca e potente: il successo fu raggiunto grazie alla volontà di molti coniugi, soprattutto donne, che sentivano la necessità di divenire vedove, in un'epoca in cui il divorzio non era ancora riconosciuto legalmente. Ma dopo alcuni anni una cliente della donna, la contessa di Ceri, per liberarsi del marito, utilizzò tutto il liquido della boccetta contenente il veleno, smuovendo i sospetti dei parenti del defunto. Le indagini condussero a Giulia Tofana, la quale venne imprigionata e torturata, ammettendo di aver venduto, soprattutto a Roma, durante il periodo della peste (cosa che rendeva ancora più difficile identificare gli avvelenamenti), boccette sufficienti ad uccidere 600 persone, in un periodo compreso tra il 1633 e il 1651. Il 5 luglio 1659 fu condannata e giustiziata a Roma, in Campo de' Fiori, insieme alla figlia o sorella Girolama Spera e ad altre 3 donne colpevoli di aver avvelenato i propri mariti. Col tempo altre 41 donne furono strangolate nelle segrete dei palazzi o murate per ordine dell'Inquisizione. Il fatto ebbe eco anche a Parigi con l'affare dei veleni del decennio 1670-1680: tra il 1666 e il 1676, Marie-Madeleine d'Aubray, marchesa di Brinvilliers, per impadronirsi dell'eredità avvelenò suo padre, i due suoi fratelli e sua sorella prima di essere arrestata e giustiziata. Tra i personaggi famosi che si sospettano avvelenati con l'acqua tofana si ricordano il musicista Wolfgang Amadeus Mozart e papa Benedetto XIII. Gli ingredienti del veleno sono noti, ma non se ne conoscono le esatte dosi. L'acqua tofana conteneva acqua, anidride arseniosa, limatura di piombo, limatura di antimonio e succo estratto dalle bacche della belladonna. L'anidride arseniosa, fatta bollire in acqua, crea un ambiente acido e consente lo scioglimento del piombo e dell'antimonio, dando luogo ad una soluzione incolore, inodore e insapore ad altissimo tasso di tossicità. Una volta somministrata, provoca in breve tempo vomito e in seguito febbre, facendo in modo che il quadro clinico del malcapitato venga confuso con quello di un normale disturbo intestinale; la morte sopraggiunge entro 15-20 giorni, se viene rispettato il corretto dosaggio. L'acqua tofana avvelena le persone un po' per volta, facendo sembrare la morte apparentemente naturale (il volto del defunto appare roseo), allontanando così i sospetti di un omicidio. Il veleno veniva commercializzato sotto forma o di cosmetico o di fiala recante l'immagine di San Nicola di Bari (quindi conosciuta clandestinamente come "manna di San Nicola"), risultando alla stregua di un oggetto di pseudo-devozione feticista verso il santo. Il prodotto era accompagnato dalle istruzioni per l'uso, allo scopo di evitare avvelenamenti accidentali.