@Raining
Che poi, a pensarci bene, mia madre ne ha avute di occasioni, soprattutto in passato, per capire la mia fluidità. Descrizione
Alert: shout potenzialmente molto lungo.
Quando ero bambino ero solito crearmi personaggi nella mia testa, amici immaginari che accompagnavano le mie giornate. E se questa fase la abbiamo avuta più o meno tutti, è anche vero che per molti è finita comunque dopo qualche tempo. Per me è durata tutta l'infanzia, direi fino alla fine delle elementari. Il motivo era banale: non avevo amici offline, o se ne avevo mi era proibito frequentarli più di quel poco a scuola, e quindi dovevo ricorrere ai vecchi metodi. La mia fervida immaginazione poi si divertiva assai in queste cose, e il fatto che già allora scrivessi storie e poi canzoni per sfogarmi la teneva occupata e allenata H24, producendo sempre materiale nuovo.
E se all'inizio c'erano Marcellina, la biblioteca nello studio di mia nonna, vari personaggi più o meno inventati e più o meno definiti che affollavano la mia testa, verso gli 8 anni iniziai ad avere la passione per gli elenchi alfabetici, che mi portò a creare ben 1003 (più vari altri persi in giro) nomi inventati, più o meno verosimili (si va da cognomi comuni tipo Grande o plausibili tipo Albenga a cognomi assolutamente improbabili tipo Amilgioieldengo o Martimbertucci), che erano sostanzialmente i miei amici dell'epoca, bambini come me su cui fantasticavo storie che rimanevano nella mia testa. Ed ero felice così, vivevo nella mia testa perché d'altronde così avevo sempre fatto, e mi andava bene, anche se mi sarebbe piaciuto avere quelle persone con cui giocare anche nella realtà.
Ben presto però, siccome (anche data la scarsa esperienza mondana) mi era difficile trovare una personalità diversa per 1000 persone diverse (oltre che 1000 facce diverse, nonostante avessi provato a farne degli avatar), ben presto quella lista divenne un insieme di nomi improbabili e la mia attenzione si concentrò soprattutto su due personaggi, che sarebbero alla fine andati a formare con me il mitico trio che mi avrebbe accompagnato fino alla fine di quella fase (e, in qualche occasione, anche dopo): una si chiamava Maria e l'altra Anna.
Avevo una precisa idea di Maria e una precisa idea di Anna. Le avevo descritte fisicamente e caratterialmente. Sapevo le loro date di nascita con precisione e pure l'ora, per calcolare l'ascendente per l'oroscopo. Ne conoscevo le rispettive famiglie e, nella mia mente, potevamo incontrarci molto spesso. Eravamo molto amici insomma, e io ero però contemporaneamente il narratore onnisciente della storia.
Una domanda sorge spontanea: perché due ragazze? In realtà non c'è molto da starci a ragionare: all'epoca, come tuttora, mi trovavo più in sintonia con le amiche femmine e prediligevo di gran lunga la compagnia femminile, per questo mi era venuto scontato un gruppo ristretto di amiche e non di amici nella mia testa.
Non starò a dilungarmi molto e mi concentrerò subito su Maria. Se Anna mi era più difficile da immaginare in svariate occasioni per quanto la avessi ben inquadrata e aveva caratteristiche ben diverse dalle mie sia fisicamente che caratterialmente, per Maria non si può dire lo stesso: aveva lo stesso mio colore di capelli, stesso segno zodiacale, a volte stesso colore degli occhi (alternato con l'azzurro in base al momento) e, soprattutto, lo stesso carattere. Facendola breve, l'avevo creata a mia immagine e somiglianza senza rendermene conto ed era gradualmente diventata il mio alter ego, la mia unica amica (accantonando Anna), la mia ragazza ideale, persino la mia prima fantasia (con buona pace del me bambino, le prime rappresentazioni del me 13enne erano incentrate su di lei, principalmente perché immaginare una persona reale per me sarebbe stato scandaloso e più complicato). Aveva fondamentalmente invaso tutta la mia vita ed era di fatto la mia copia al femminile, qualcosa che mi tenevo dentro come un'altra me ma senza realmente capire (o forse accettare) che quella non era la persona che cercavo, ma era la persona che ero.
Come l'ho capito? In effetti, non è stato facile. Già da anni quel nome (aveva anche un cognome, ma è irrilevante) faceva parte della mia vita, la inserivo nei contesti più vari, avevo creato una mail a suo nome (e mia madre lo sapeva, e comunque ormai ero grandicello: strano non le siano venuti né dubbi esistenziali sulla mia identità né sulla mia sanità mentale *coff coff*), sostanzialmente era presente in ogni mio attimo o quasi. Non mi era però possibile né accettare né tantomeno ipotizzare che quelli fossero sintomi, a loro modo, di una sorta di disforia, di discordia tra quello che mi ritrovavo e quello che avrei voluto essere. Perché sì, io implicitamente sapevo di voler essere Maria: sapevo di volermi svegliare un giorno in un corpo femminile e doveva essere quel corpo, con quei bei capelli lunghi tra il biondo scuro e il castano chiaro, con quel viso molto simile al mio ma dall'aria più femminile, con quel corpo che pian piano comunque stava subendo il suo processo di crescita, al passo con le altre ragazze. Il punto era arrivare a capire e accettare che quella cosa aveva un nome e ricadeva precisamente in quella tanto odiata categoria chiamata LGBT+, cose che all'epoca o non conoscevo o consideravo assolutamente sbagliate, da condannare, così come mi era stato insegnato. E questo inevitabilmente sviava la mia mente dalla realtà dei fatti, perché era inaccettabile che un ragazzo come me potesse cadere "così in basso" e amalgamarsi alla marmaglia di gente che lo faceva per moda o per i motivi più assurdi e che, sapevo, prima o poi comunque sarebbe tornata sulla retta via.
La svolta avvenne circa un anno fa, con il mio ingresso qui; e in questo senso un grande grazie va proprio a Loacker, che in fondo è stata la mia primissima amica vera (insieme ad altri aggiuntisi poco dopo, che comunque non vanno sminuiti o dimenticati): con lei presto iniziai a scherzare su me come Maria, nonostante qualche incertezza iniziale, perché con lei scherzavo su tutto e mi pareva normale comunque scherzare anche in questo modo; già mi ero finto svariate volte ragazza su Omegle per altri motivi, ma non era la stessa cosa di essere me stesso e contemporaneamente avere un nome da ragazza, anche ironicamente, sentire che tutto ciò ero io, era mio, mi apparteneva, faceva parte di me. (una piccola parentesi su Omegle: ho incontrato più di un ragazzo, nel tempo, ché si fingeva femmina e poi dopo un po' svelava lo scherzo; c'è da dire che io a confronto con loro mi "calavo" molto meglio nella parte e non sono praticamente mai stato sgamato, e già da questo e da quanto comunque a differenza loro prendevo tutto ciò con tranquillità massima come se fossi sempre stata una ragazza si può intravedere qualche segnale chiaro del fatto che non ero del tutto cis).
Il primo coming out lo feci con lei, non ricordo quando: credo verso gennaio o febbraio, anche se in verità penso che quello sia stato più il periodo in cui lho effettivamente realizzato io senza dirlo a nessuno (e per accettarmi ce ne è voluto ancora di tempo). Ad aprile lo dissi prima su un gruppo di amici ex insegretini che conoscevo abbastanza bene e poi qui. Avrei voluto dirlo anche al mio amico trans, giusto per dirlo a qualcuno a voce e farmi passare anche l'ultima paura, convinto che mi avrebbe capito, ma non ho avuto occasione e forse meglio così, alla fine mi è passata la necessità di dirlo per liberarmi di un peso. A parte queste cose, ne ho scherzato qualche volta con il mio ex migliore amico per farlo scandalizzare ironicamente data la sua omofobia, ma senza dirgli effettivamente come stavano realmente le cose. Ad oggi, dopo la realizzazione e il boom iniziale dovuto alla necessità appunto di buttar fuori tutto, la vivo tranquillamente e sono abbastanza felice. (spero solo che mia madre non abbia mai letto Silvia che "Buonanotte Mary ❤️", o sono cazzi :'D, ma penso che se fosse davvero successo mi sarei ritrovato alle 2 buttato giù dal letto a calci).
Comunque, questo papiro è per sottolineare, ancora una volta, quanto i miei non mi conoscano: dalla loro tirannia sono convinti di sapere tutto di me, quando sanno solo che esisto e che purtroppo sono un effetto indesiderato delle loro (rare) scopate. Mia madre mi tratta come un coglione e con arroganza, convinta di avere sempre ragione; mio padre mi minaccia con le mani e con le urla, perché sono le uniche armi che ha. Se mai avrò figli, non ho la minima intenzione di crescerli in questo modo: voglio conoscere le persone a cui preparo la colazione, voglio la fiducia di quelle persone, voglio essere il contenitore dei loro segreti senza che abbiano paura di dirmeli; e non posso avere tutto questo partendo dal presupposto che sono loro che sbagliano. Onestamente, non vorrei mai che mia figlia potesse stare male o odiarsi perché le piace un'altra ragazza o perché non si accetta per quello che è: sarebbe il peggior fallimento che io da genitore potrei fare.